Tu sei qui: Storia e StorieQUEL DRAMMATICO 16 MARZO 1978. SONO TRASCORSI QUARANT'ANNI DAL RAPIMENTO DI ALDO MORO
Inserito da (admin), venerdì 16 marzo 2018 11:08:51
di Sigismondo Nastri La mattina del 16 marzo 1978 ero a scuola: l’Istituto professionale per il commercio di Amalfi, situato nella Valle dei Mulini. Qualcuno telefonò per riferirci ciò che aveva sentito alla radio un istante prima: il rapimento di Aldo Moro, a Roma, in via Fani, e l’uccisione dei cinque uomini della scorta. Una notizia drammatica, in un passaggio delicato della nostra vita politica e parlamentare. Era, infatti, il giorno della presentazione alla Camera dei Deputati del quarto governo Andreotti, quello della "solidarietà nazionale", con il determinante appoggio esterno del Partito comunista. Si trattava di una svolta, voluta proprio da Moro, che l’aveva anticipata in un suo discorso: "Noi siamo in condizione di paralizzare in qualche modo il Partito comunista e il Partito comunista è a sua volta in grado di paralizzare in qualche misura la Democrazia cristiana… Bisogna trovare un’area di concordia, un’area di intesa tale da consentire di gestire il Paese finché durano le condizioni difficili nelle quali la storia in questi anni ci ha portato". Quell'atto criminale non poteva lasciare indifferenti. Salvatore Sorrentino, collega e amico, all'epoca direttore della scuola, può testimoniare che, appena la notizia del rapimento di Moro si diffuse nelle aule, tutto l'istituto - docenti e alunni - si riversò nel piazzale-parcheggio ad ascoltare, in un silenzio che si puà definire religioso, la radio (l'unica disponibile, credo) accesa a tutto volume nell'auto dello stesso professore Sorrentino. Diventammo così testimoni e interpreti dei sentimenti della collettività, che erano pure i nostri: al di là del dolore per la tragedia che si annunciava, avvertivamo ansie, preoccupazioni, paure. Il giorno dopo ci recammo, lui ed io, negli studi della RCA-Radio Costiera Amalfitana dove, partendo dal caso Moro, allestimmo un vivace dibattito con gli ascoltatori, che si concentrò subito sul tema: "pena di morte sì, pena di morte no". Riuscimmo a coinvolgere nella discussione molta gente della Costiera. Facemmo sicuramente un buon lavoro. Ricevemmo chiamate al telefono perfino dalla zona di Agropoli, vale a dire dall'altro versante del golfo di Salerno. Fu un’esperienza che mi emozionò e mi commosse. Aldo Moro avevo avuto modo di conoscerlo in occasione di una sua venuta ad Amalfi (ved. foto: lo statista è con l’onorevole Francesco Amodio; dietro - a sin. - io e l'avvocato Salvatore Sammarco di Ravello). Il rapimento fu rivendicato due giorni dopo con il primo dei nove raccapriccianti comunicati delle Brigate Rosse. In 55 giorni di prigionia Moro scrisse 86 lettere (indirizzate per lo più ai familiari, a uomini politici; ma anche a Gaetano Afeltra, amalfitano, direttore de "Il Giorno"), con le quali tentò di spingere a una trattativa per la liberazione. In suo favore intervennero accoratamente il papa, Paolo VI, e il segretario dell’ONU Kurt Waldheim. In Italia il mondo politico si divise tra quanti - compresa una buona parte della dirigenza democristiana - erano contrari a ogni ipotesi di dialogo con le Brigate Rosse e il cosiddetto "partito umanitario", capeggiato da Bettino Craxi. Vinsero, ahimè!, i "falchi" e, conseguentemente, il presidente della Democrazia Cristiana fu abbandonato al suo destino. Risultato: il cadavere di Moro, assassinato dalle Brigate Rosse, fu fatto trovare il 9 maggio, nel vano bagagli di un’auto – una Renault 4 rossa – parcheggiata a Roma, in via Caetani, nei pressi delle sedi della Dc e del Pci. La vicenda, dalla quale sono scaturiti libri, dibattiti, persino film, resta, tuttora avvolta da ombre e misteri. Aldo Moro – scrive la figlia Agnese – "non si stancò mai di lavorare per creare dialogo, comunicazione, comprensione, rispetto reciproco". Era "un uomo così". Schivo e riservato, quasi timido, con le sue debolezze, i suoi hobby, con un culto sacro della famiglia. Un uomo dotato di grande intelligenza, di straordinaria sensibilità, animato da una profonda religiosità. Ma, nello stesso tempo, un politico capace di vedere oltre il contingente, di elaborare tattiche e strategie proiettate nel futuro, di mediare tra opposte tendenze per dare un contributo fondamentale alla democrazia, alla convivenza civile, al progresso economico dell’Italia. Moro – nota la figlia – "aveva sessantuno anni e avrebbe potuto fare ancora tante cose per il Suo Paese e per noi". Peccato che non gli sia stato consentito. La politica italiana ne paga ancora le conseguenze. © Sigismondo Nastri
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