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Architetti al Referendum: le dieci categorie (più una)

Inserito da (admin), sabato 10 dicembre 2016 16:45:06

E' il secondo articolo, ospitato sulle pagine di Booble Italia, scritto da Christian De Iuliis, originario di Minori una piccola perla della Costa d'Amalfi, che pubblichiamo con piacere e che ci regala una personale interpretazione dell'attività, e perché no dell'attivismo, dei colleghi architetti. di Christian De Iuliis (www.christiandeiuliis.it) Ora che questo delirio di massa chiamato Referendum è finalmente terminato e l’argomento più popolare è tornato ad essere la ricerca dei regali di Natale, possiamo avventurarci nello studio del risultato attraverso un analisi dei votanti ed in particolare di una della categorie più numerose e tormentate, ovvero quella degli architetti. Oggi in Italia ci sono 150.000 architetti iscritti all’ordine, almeno altri 100.000 laureati in architettura che svolgono altri lavori e ulteriori 50.000 tra studenti, matricole e storici fuori corso; in totale stimiamo che un partito di soli architetti ed aspiranti tali, in Italia conterebbe circa 300.000 unità. Per questo ultimo referendum si sono recati alle urne circa 30 milioni di italiani, quindi il partito esclusivamente degli architetti costituisce una base elettorale pari allo 0,1%, che sembra poco ma è quasi il totale degli elettori del partito che esprime il ministro degli interni. Ma gli architetti, in quanto categoria frammentata e difficilmente catalogabile, hanno votato in maniera variegata al recente quesito referendario. Ecco 10 categorie più una, di architetti al referendum. 1) Lo stabile. Si tratta dell’architetto, dell’età prossima al cinquantenario, che ha raggiunto la sua pace interiore ma soprattutto la tranquillità economica, in quanto gode di un posto fisso e di una prospettiva piuttosto serena. Per il suo lavoro la laurea in architettura oramai è come la tessera dell’ACI quando buchi in autostrada: una condizione necessaria ma niente di più. Timbra alle 9, ritimbra alle 16, passa all’incasso il 28 del mese e amen. Per questo motivo la sua parola d’ordine è stabilità così anche se non ha capito granché della riforma costituzionale, ha votato "SI", convinto. 2) L’instabile. E’ l’architetto, in genere tra i 30 e i 45 anni, che galleggia in una situazione di assoluta insicurezza, con contratti a tempo determinato e lavoretti di piccolo cabotaggio. Siccome non lo paga quasi mai nessuno, fattura meno di un ciabattino o del granitaro che gira in Ape-Piaggio sul lungomare con il quale però ha in comune l’orario di lavoro part-time. Diventare amico di un assessore compiacente, o addirittura parente, potrebbe essere una soluzione ma purtroppo quest’architetto non ha padrini politici perché non avrebbe né la struttura né lo stomaco per tollerarli. Ha letto la riforma costituzionale, non ci ha capito quasi niente ma siccome così non si può andare avanti, ha votato "NO". 3) L’inserito. E’ l’architetto, esemplare raro ma esistente, che gira in SUV con le Hogan o con il Mercedes in scarpe di vernice. Lo riconosci perché entra nelle stanze dei sindaci, assessori, governatori eccetera, a qualsiasi ora del giorno senza bussare e quando esce ha sempre stampato sul viso un sorriso larghissimo che espone sotto un capello phonato che neanche Mal dei Primitive ai bei tempi. Ha talmente tante commesse pubbliche che ha dovuto fare finta di assumere un neoarchitetto per sbrigarle tutte. Non sapeva neanche di cosa parlasse la riforma costituzionale ma, per non rischiare, ha votato "SI". 4) Il giovane. Laureatosi in architettura con il massimo dei voti e promosso all’esame di stato con brillante punteggio, si è affacciato nel mondo del lavoro con grande entusiasmo. Nei primi anni ha collezionato decine di incarichi a gratis e versato già migliaia di euro a causa di una serie di tributi dei quali non si parlava mai all’università e dunque non esattamente previsti. A volte si tratta proprio del neoarchitetto assunto dalla categoria di cui sopra, che disegna centri commerciali con turni da minatore del XIX secolo per 3,50 euro all’ora. Anche per questo non ha avuto il tempo di studiare la riforma costituzionale ma, vista la sua situazione, ha votato "NO". 5) Il governativo. Si tratta di un architetto molto ottimista che frequenta ambienti dove tutti hanno letto Marx e Proust ma nessuno ha mai fatto la spesa al supermercato. Possiede alcune solide tessere di partito in tasca che utilizza secondo necessità e che, quindi, gli consentono di lavorare con continuità, indifferente ad ogni ribaltone, anche se, essendo piuttosto ricco di famiglia, non ne avrebbe neanche tanto bisogno. Lo si riconosce dalla scrittoio in teak intrecciato che tiene in studio, dal valore commerciale pari all’intero reparto scrivanie da ikea. Avendo partecipato a decine di incontri sul referendum conosce benissimo la materia, comunque, avendolo promesso al suocero, ha votato "SI". 6) L’Antigovernativo. Attivissimo sui social dove è amministratore di decine di profili su numerose piattaforme, l’architetto antigovernativo vive momenti di gloria proprio in occasione delle campagne elettorali agitando temi di grande impatto popolare. Pur conoscendo per sommi capi la riforma costituzionale, i suoi interessi si concentrano sempre su altri problemi, specifici ed atavici della professione. I suoi cavalli di battaglia sono: l’abolizione dei minimi tariffari, i pagamenti lenti della pubblica amministrazione, l’abolizione degli ordini professionali, l’aumento progressivo dei contributi pensionistici e la concorrenza sleale. Da qui le numerose divagazioni su temi di rilevanza nazionale quali: i migranti clandestini ai quali danno la casa e 500 euro al mese, lo stipendio dei parlamentari, l’accise sul prezzo della benzina eccetera. Ovviamente ha votato "NO" come farebbe per qualsiasi proposta proveniente dal governo. 7) L’intellettuale responsabile. C’è una categoria di architetti, non più di primo pelo in verità, che legge ancora gli editoriali di Domus e, persino, li capisce. In un ipotetica conversazione da bar (se solo li frequentassero) sarebbero facilmente riconoscibili dall’uso di alcuni aggettivi quali "imprescindibile", "tecnicismo" e "delocalizzato". Inoltre, se interrogato, saprebbe spiegare perfettamente il significato del concetto oscuro di "combinato disposto" ma solo ad intellettuali di pari grado, casomai li trovasse. Per questo, dal punto di vista professionale accettano solo incarichi che prevedono relazioni tecniche di grosso spessore e nelle quali possono citare Kant. Nel lavoro come nella vita fa appello al senso di responsabilità, sia che sostituisca una grondaia, sia che voti per la riforma costituzionale. Coerentemente, ha votato "SI". 8) L’incazzato. Tecnicamente, questo tipo di architetto apparterrebbe alla categoria degli antigovernativi, ma siccome è disperato dal punto di vista professionale ed umano, allora propone soluzioni più estreme al limite della legalità. La sua caratteristica principale è il nervosismo che esterna in tutte le situazioni; ad esempio in una classica fila al catasto, se scavalcato può innescare una rissa dalle dimensioni colossali. Anche sul cantiere un architetto incazzato può provocare dissapori con le maestranze che possono in brevissimo tempo decidere per l’ammutinamento e utilizzarlo come riempimento in un plinto di cemento armato. Opportunamente sedato si è recato al seggio e ha votato "NO" dopo aver ben controllato che la matita non si potesse cancellare. 9) L’individualista. E’ un architetto solitario, spensierato e sognatore, reduce dai meravigliosi anni ’70 o ’90 (dipende dall’anagrafe), dove tutto era più semplice e una canna o una mazzetta risolvevano tutti i problemi. Ha sposato le teorie di Soleri e medita di trasferirsi ad Arcosanti o in Nuova Zelanda a costruire pale eoliche in bambù. Lavora poco, anzi pochissimo anche perché quando gli parli di doppia conformità urbanistica o di valutazione di impatto ambientale, ti guarda stupefatto come il mio compagno di classe Masullo guardava il professore di matematica quando lo interrogava in geometria. Ha appreso del referendum al parco, da alcuni passanti, mentre dava le molliche ai passeri. Si è recato alle urne solo perchè adora l’odore delle matite ben temperate ma scegliere era troppo faticoso: ha votato scheda "BIANCA". 10) Il dubitativo. E’ l’architetto tormentato da qualsiasi dubbio di natura non solo professionale ma anche etica e psicologica. Quando si reca dal fornitore a scegliere un pavimento, convince il cliente a riflettere ancora un po’, finché dopo ore e ore e ripetute visite viene chiuso nello sgabuzzino dei resi. I suoi drammi esistenziali lo hanno sempre penalizzato nella professione, tanto da essere finito a fare i rilievi per gli ingegneri, che, notoriamente, sono addestrati per non avere mai nessun dubbio. Ha studiato la riforma costituzionale così tanto che alla fine la conosceva meglio lui che l’autore. E’ andato in cabina elettorale confuso e sfiduciato, ha fatto una ics su una casella, ma ancora prima di ripiegare la scheda, ha cambiato idea e ha barrato anche l’altra. Dunque, tecnicamente, ha votato scheda "NULLA". 10+1) L’indifferente. Si tratta di un architetto piuttosto realista e disincantato che piuttosto che guardarsi dieci minuti di "porta a porta" o "DiMartedi", si sottoporrebbe anche alla visione di un’intera puntata di Tentaption island. Negli anni ha maturato una elevata diffidenza verso qualsiasi schieramento politico. Di conseguenza non crede più a nessuna promessa da qualsiasi parte gli provenga. Sa solo che se non lavorerà tutti i giorni, festivi compresi, non avrà maniera con la quale vivere. Sulla pensione, inoltre, ha già messo una pietra sopra. E’ allo stesso tempo antigovernativo e governativo, dubitativo e incazzato, un filo intellettuale ed individualista quanto basta. Ha votato persino al referendum per l’abrogazione dell’obbligo di concedere la servitù coattive per gli elettrodotti (Giugno 2003, 25% di votanti) ma ora basta. Si è astenuto. Per acquistare "L’Architemario", l’unica ed indispensabile guida di sopravvivenza che ogni architetto contemporaneo dovrebbe assolutamente leggere (e/o regalare per il prossimo Natale) - clicca qui.

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