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Confcommercio, in 10 anni chiusi 111mila negozi: quasi 1 su 5

E' la fotografia scattata dall'indagine ''Demografia d'impresa nelle città italiane'', realizzata dall'Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne.

Inserito da (Redazione Nazionale), giovedì 8 febbraio 2024 20:55:58

La società sta cambiando, non solo in Italia: eppure la fotografia scattata delle attività tradizionali all'interno del nostro Paese fanno capire la portata di questo 'tsunami' che nell'arco di poco più di 10 anni ha stravolto il mondo economico e, nello specifico, del commercio, soprattutto quello tradizionale.

Sono molte le città dove si possono scorgere vetrine tristemente vuote, con la solita scritta: "Affittasi e/O Vendesi" e non sono solo gli affitti a volte poco sostenibili per i negozi tradizionali, a farli chiudere.

A fronte della desertificazione commerciale delle città italiane cambia anche il tessuto all'interno dei centri storici con sempre meno attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%).

A farci capire lo 'stato dell'arte' è la fotografia scattata dall'indagine ''Demografia d'impresa nelle città italiane'', realizzata dall'Ufficio Studi di Confcommercio in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne.

Secondo lo studio tra il 2012 e il 2023, in Italia, è sparito oltre un negozio su cinque. Sono 111 mila i punti vendita al dettaglio spariti e che non sono stati sostituiti e 24 mila l'attività di commercio ambulante perdute.

Sempre secondo l'Ufficio studi di Confcommercio, il commercio di prossimità - deve puntare su efficienza e produttività, anche attraverso l'innovazione e la ridefinizione dell'offerta. E resta fondamentale l'omnicanalità, ovvero l'utilizzo anche di un canale online ben funzionante (negli ultimi cinque anni gli acquisti di beni su Internet sono quasi raddoppiati passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023).

La crescita dell'e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un'opportunità per il commercio 'fisico' tradizionale.

Dall'approfondimento sui centri storici rispetto al resto del comune emerge che il depauperamento dei primi è un po' più grave di quello che interessa le periferie, sia per il Centro-Nord sia per il Mezzogiorno.

Il numero di ristoranti cresce, anche grazie al turismo straniero, ma c'è il travaso dai bar che con la somministrazione cambiano codice di attività per approdare alla ristorazione.

La mappa geografica evidenzia come il rischio di desertificazione commerciale più alto, in Italia, è in una fascia del Nord Est che, negli ultimi anni, ha sofferto moltissimo, anche per la riduzione del turismo russo e tedesco e, tra il 2012 e 2021, ha visto un calo di oltre il 30% in termini di variazione percentuale dei negozi.

Al contrario resistono i comuni, soprattutto del Sud, particolarmente attrattivi per i turisti e per non residenti come gli studenti fuorisede: come, per esempio, Bologna.

Secondo il il direttore dell'ufficio studi, Mariano Bella che sottolinea, altresì, il valore sociale del commercio:

"Se la densità commerciale si riduce del 33% non siamo a rischio di desertificazione ma è, secondo me, desertificazione conclamata. Se metti anche che le banche di alcuni piccoli comuni non hanno più sportelli, abbiamo un problema di disagio sociale che in Francia hanno studiato bene e hanno correlato alle proteste dei gilet gialli".

In undici anni, dal 2012 al 2013, nel commercio al dettaglio crescono le imprese straniere e si riduce il numero delle imprese con titolare italiano: in particolare, le attività italiane diminuisco del 5,7% a vantaggio delle straniere che guadagnano terreno arrivando all'11,1% del totale nel 2023 e addirittura, comprendendo anche alberghi e pubblici esercizi, si arriva ad una quota delle imprese straniere del 13,9%.

Secondo Confcommercio:

"Le cause di questo fenomeno sono diverse e - si legge - diversi sono anche i possibili rimedi. Ci sono, però, due misure molto concrete che riuscirebbero in poco tempo a cambiare le cose: la prima è il superamento delle regole contrattuali, risalenti a quasi mezzo secolo fa, che ingessano le locazioni non abitative, da sostituire con norme equilibrate e al passo coi tempi; la seconda è l'introduzione della cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma fiscale approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata. Si tratta di due interventi che favorirebbero l'incontro fra domanda e offerta di locali commerciali in affitto e la rinascita dei centri storici. Che cosa si aspetta a vararli?" si chiede - giustamente - l'associazione.

Sullo studio di Confcommercio è intervenuto il presidente, Carlo Sangalli, commenta l'analisi sulla demografia di impresa nelle città italiane:

"Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale".

Secondo Sangalli:

"Rimane prioritario, contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città.

In questa direzione, vanno il progetto Cities di Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l'Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città".

 

FONTE FOTO: Foto di David JULIEN da Pixabay e pagina FB Confcommercio

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